L’America è sempre l’America, sottolineava il mondo contadino calabrese che guardava al nuovo mondo come l’unica via di uscita dalla propria miserevole condizione di vita. E, intanto, anche durante i lavori della terra, tra contadini si parlava di volere racimolare quei soldi necessari per il biglietto di terza classe e imbarcarsi con la famiglia verso la Merica, con il baule mettendo in esso quanto necessario per i primi periodi di ambientazione. Nel baule si metteva ogni sorta di biancheria, ma anche fotografie necessarie alla memoria dei luoghi di appartenenza e dei familiari, qualche santino ma anche del cibo come fichi secchi, pane duro, olive, del formaggio duro, per sbarcare il lunario una vola volta giunti nei porti americani e trovare un lavoro e una sistemazione dove poggiare tutto. Era un baule di legno ricoperto in lamiera verniciata di nero con rinforzi metallici dorati lungo tutti i lati ed una pesante serratura al centro. Non fu facile, ma molti riuscirono a sopravvivere e vivere e persino costruirsi una vita molto dignitosa fino a rilevare anche attività commerciali. La durezza delle condizioni di vita e l’esiguità delle risorse costrinsero milioni di persone prendere la strada dell’emigrazione, un fenomeno di massa che si sviluppò soprattutto tra il 1890 e il 1920. Si andava principalmente in Argentina dove praticavano l’allevamento e l’agricoltura e impiegati nelle vaste piantagione per la raccolta della canna da zucchero.

Bauli migranti museo di Cavasso nuovo

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