di Pino Cinquegrana (Antropologo)

La regione del “Poro” o regione di Capo Vaticano indica quel promontorio della Calabria tirrenica che si estende per circa 20 km, sporge dalla congiungente Lamezia-Gioia Tauro, discende con ripiani terrazzati fino al mare (710 m slm) e si prolunga fino a Capo Vaticano interessando anche i margini occidentali delle valli dell’Angitola e del Mesima. In questo luogo ricadono i centri di Drapia, Filandari, Joppolo, Limbadi, Nicotera, Ricadi, Rombiolo, Spilinga, Zaccanopoli, Zungri. Una macro area dove il fascino dei luoghi, la bellezza del panorama, la ricchezza del mito, della storia e della cultura, i numerosi culti (Sant’Elia il Giovane, Santa Cristina, il monaco Saba ed altri) e le accattivanti leggende (donna Trisulina, donna Santàcima) racchiudo nell’insieme la grandezza di uno spazio unico tra il mare e la montagna, terra di passaggio di briganti e di santi. Un promontorio costellato di siti rupestri, grotte scavate dalla mano dell’uomo o naturali, cenobi che raccontano quel primordiale abitativo di riferimento al fantastico e al misterico che, nell’insieme, recuperano l’identità dei luoghi in termini di civiltà di vita sociale economica e religiosa. Durante la dominazione bizantina si rafforza, in questa vasta area una società agro-pastorale, al punto di caratterizzarla come peculiarità dei luoghi all’interno dell’alsos, il bosco sacro brulicante di piante di ulivo ed altre piante.

Scendendo verso il centro storico di Zungri, dalla voce greca Tsougkri che significa “altura”, “collina”, il museo della Civiltà Rupestre e Contadina strutturato secondo le fatiche e il quotidiano vivere la terra e la famiglia secondo i ritmi della tradizione e della comportamentalità. Qui il visitatore giunto da ogni parte d’Europa viene accolto e istruito sui luoghi rilegati all’antico sito che degrada verso località Fossi (sul versante Sud-orientale del costone roccioso di Zungri),nome che compare insieme a quello di cavernoli già nel 1586, negli scritti di Monsignor Del Tufo. Un territorio, che da oltre trent’anni è all’attenzione di archeologi, antropologi, studiosi del folklore, psicologi e sociologi. Un patrimonio naturalistico ambientale che va letto secondo i parametri dell’Unesco esplicitati nella Conferenza Generale tenutasi a Parigi il 16 novembre del 1972, la Convenzione per la tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale, ratificata dallo Stato italiano nel 1977 (Legge n. 184 del 6 aprile 1977).

La Convenzione nel preambolo sottolinea che «il patrimonio culturale e il patrimonio naturale sono sempre più minacciati di distruzione non soltanto dalle cause tradizionali di degrado, ma anche dall’evoluzione della vita sociale ed economica che l’aggrava con fenomeni d’alterazione o distruzione ancora più temibili. La Convenzione fa obbligo agli Stati di proteggere il patrimonio culturale e naturale, in modo da trasmetterlo alle generazioni future, predisponendo e mettendo in atto programmi di pianificazione organica» (art.5).

Lo spazio antropizzato delle 100 grotte su un superfice di 8 kmq, “insediamento principe del Poro” come lo ebbe a definire l’archeologo Achille Solano (1998:75) che costituisce un cavernous a cavallo di due località: “Chiusa” e “Fossi” lungo il torrente Malopera. “Nella realtà topografica –scrive l’archeologo Solano – queste cellule [grotte] sono orientate su strade esterne, che da Est e da Ovest … hanno un punto di riferimento sulla Rocca di Mesiano [Città madre]”. Ormai, da tempo, viene definito la Matera della Calabria, proiezione di un turismo storico, archeologico e naturalistico nei racconti della storia millenaria del Mediterraneo. Scrive l’archeologa Adele Coscarella “gli impianti destinati ad uso agricolo-pastorale risultano generalmente di forma  rettangolare intagliati trasversalmente all’asse di ingresso anch’esso  rettangolare con l’attestazione ,almeno per tre casi di grotta strutturata nel suo interno,  con due vasche adiacenti poste a livelli diversificati emessi in comunicazione tramite una canaletta. Mentre quelli con funzione  abitativa mostrano strutture a più vani affiancati dalle linee arrotondate continue: meno frequenti sono risultati gli esempi impostati su due livelli con accesso interno tramite scale risparmiate. Il tetto è spesso piano e solo nelle unità a pianta circolare si presenta realizzato a cupola con circonferenza degradante fino a giungere al centrale foro di uscita del fumo in presenza di un focolare, che in questo caso si presuppone centrale. Altro esempio di camino , invece, certamente di epoca più recente e più probabilmente idoneo alla struttura del forno, è dato dall’escavazione in roccia del vano e relativa canna fumaria, completata nella parte più interna da una struttura in mattoni: è questo, al momento, uno di soli due casi di grotta documentata, realizzata con l’ausilio di strutture murarie attestanti più fasi edilizie . Particolarmente curate, ancora, risultano le aperture, quali le porte, quadrangolari o sormontate da un arco, ben rifinite negli stipiti e nei fori destinati all’alloggiamento di elementi metallici   o lignei anche nei punti di passaggio interno da un vano all’altro.”

Le grotte non furono il primordiale luogo abitativo dell’uomo; capanne sulla terra ferma, palafitte, strutture su alberi fornirono all’uomo opportunità di ricovero contro fattori atmosferici e ogni sorta di animali che potevano mettere in pericolo la vita umana. La grotta, dalla voce greca Kryptē, nelle diverse forme (quadrata, rettangolare, circolare), è da considerarsi la forma abitativa più solida, sicura e che diventa, nell’idea tribale, un vero ambiente di vita per animali, cose e persone. Come scrive Elisabetta De Minicis l’uso di scavare la roccia per ottenere vani per abitazione, per lavoro, per deposito o per altro ancora, è diffuso da millenni nella koiné mediterranea (2005:182). Sia come rifugio temporaneo, che come luogo abitativo permanente, le grotte degli “sbariati” di Zungri, nella provincia di Vibo Valentia, ad una lettura antropologica e archeologica danno l’idea di una civiltà antica con un certo livello culturale, da potere definire vera e propria civiltà troglodita. Un insediamento, quello di Zungri, con infrastrutture come vicoli, gradini di collegamento, canalizzazione per le acque, locali per la trasformazione dei prodotti (olio, vino, farina) ma anche come spazi abitativi. La grotta, quindi, scavata dalla mano dell’uomo o da erosioni di varia natura, nel tempo, può essere stata usata anche dopo la sua funzione iniziale (monacale, cenobita) e magari ampliata e, pertanto, maggiormente adeguata a luogo per conservare olio, grano e altri cereali, ambiente-stalla per gli animali,  o come luoghi di culto (chiesa-grotta) e, quando le grotte furono abbandonate gli spazi vennero usati per usi umani. Nel paleolitico superiore, furono usate persino come luoghi di sepoltura (grotte sepolcrali).  Alla grotta, spesso viene associato come sinonimo la caverna, il troglobio dalla voce greca trògle = caverna e bião= io vivo (abitatore della caverna, colui che vive nella caverna), in realtà luoghi diversi per struttura:  la prima come casa misera con il jacium giaciglio per dormire con aperture (finestre) e porte in legno presente tra l’XI e il XIV secolo,  anche con strutture a più livelli unite con scalette scavate artificialmente creando diversi ambienti: cucina, nicchie, angolo letto, mensole per riporre oggetti, quindi una cave dweller  (casa-grotta selvaggia ma con reale idea abitativa). La seconda, che l’inglese traduce con il termine cave, è da intendere solo con entrata senza ulteriori punti di luce o aereazione, un luogo buio. Nelle grotte del periodo paleolitico si trovano incisioni, pitture e sculture (che danno un senso evoluto del singolo o gruppo abitativo). Nella grotta della pigiatura dell’uva di Zungri (grotta n.1) vi è tracciata, alla parete di sinistra, una “croce” che, probabilmente potrebbe avere un significato di “benedizione” per una abbondanza  del vino nuovo, proprio come le donne, in passato, nel fare il pane riproducevano una croce su ogni singola “pitta” ingraziandosi così la benevolenza di Nostro Signore. Le cave painting   raccontano  un mondo multiplo come il vivere la caccia, l’agricoltura, la produzione dell’olio e così via. Nella provincia di Vibo Valentia questa civiltà rupestre è raccontata nell’insediamento rupestre degli “sbariati” di Zungri sul “Poro” che, nella lingua greca, significa “valico” o “passaggio”,  quale terra di passaggio dal mare verso la montagna e viceversa. Un insediamento datato tra il XII e il XIV secolo ricollegato al processo di immigrazione di gruppi etnici dall’Oriente (monaci per lo più)  verso le coste calabresi che, sfuggendo alle scorrerie arabe, trovarono anche tra queste  alture il giusto riparo nelle grotte realizzate quale nuclei abitativi singoli o a più locali e realizzando quelle culture che nel tempo divennero tratto distintivo di questo territorio che oggi ritrova, in questo stupendo insediamento rupestre, l’identità storica che diede vita al centro di Zungri situato a 571m s.l.m., sotto lo Schutzmantelmadonna (manto della misericordia) della  Madonna della Neve.

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