di Pino Cinquegrana (Antropologo)

Nuovo mondo diviene il sogno ideale e idealizzato, attrazione, luogo da raggiungere for the right way of life, come si racconta nelle migliaia di lettere che dall’America giungeranno alla famiglie rimaste al paese, alle mogli che dovranno sopportare l’emarginazione e il pregiudizio, l’indifferenza e il sospetto e risponderanno al marito scrivendo o facendosi scrivere – se analfabete: O carta sanci tu beni parrari/ sanci cuntari la gran pena mia/, vorria di chissa forma diventari/carta pemmu diventu comu a ttia/, mentri chissu la sorti no poò fari/ carta vasalu tu pe’ parti mia.  [mia cara lettera [carta-sp. Lettera] sappi tu ben dire le cose/sappile raccontare le mie pene (sofferenze)/ io vorrei diventare “lettera” /ma poiché questo non è possibile/ lettera bacialo tu da parte mia].

Le America è il sogno dell’abbondanza e del benessere, di stabilità liberty and opportunity. Tanta gente, al paese segnato per sempre dal lavoro precario dove, come scrive Mastro Bruno Pelaggi la fami cu la pala si pigghia e cu la zappa/cu poti si la scappa a Novajorca. Pertanto, l’emigrazione fu il risultato di un sistema sociale, politico ed economico fatto di ingiustizia e sfruttamento. I paesi si desertificano e l’emigrazione entra, come una malattia, in tutte le case. Famiglie intere abbandonano le feste, il mangiare fatto di tradizioni e costumanze. Si emigra da un non riuscire a vivere decorosamente cercando altrove una vita meno precaria, un altrove lontano da un governo che pretende sempre senza nulla dare in cambio. Si emigra da un paese che non ha mantenuto le promesse di riscatto sociale suscitate dal plebiscito per l’unità d’Italia. Emigrano le forze più giovani. I paesi si spopolano e dall’America arrivano notizie di una terra non più matrigna. Nelle lettere i nuovi mericani aggiungono dollari per i propri cari. Nel 1985 10 dollari erano lire 185.10; una cifra che permetteva di risollevarsi dalla fame per un breve periodo, mentre oltreoceano Nicolesi, Maieratani, Vallelonghesi, Serresi, si permettevano il lusso di fare il battesimo dei propri figli al ristorante con “un centinaio di persone” come si legge in una lettera che si conserva presso il museo dell’Emigrazione di San Nicola da Crissa. Le case americane hanno l’acqua e i servizi igienici. L’energia elettrica dà tutt’altro tono all’abitazione nuova dove la cucina, il salotto, le camere da letto cambiano l’idea stessa di casa rispetto a quella fredda e di pietra lasciata al paese senza luce illuminata con la lumera a unu o dui micci. Ormai il nostro emigrato vive il sogno americano fatto di lusserie: tutti fumano sigarette di marca e non quelle fatte con le cartine in cui si arrotolava il tabacco. Si contrappone un mondo ad un altro. Viene abbandonata la cucina vegetariana per dare spazio alla carne di vitella. Un sogno a cui i giovani aspiravano più di ogni altra cosa. Tra maledizione e benedizione dal 1892 al 1954 emigrano 12 milioni di italiani. Tanta gente che dovette superare il varco doganale di Ellis Island (l’Isola delle lacrime) prima di diventare italiani/calabresi d’America. L’America diviene rottura di antichi ordini sociali, si entra nel nuovo mito e i figli si chiameranno Tony, Tess, Michele, John. L’America è sempre l’America aveva detto una donna di Bagnara (Rc) durante la famosa inchiesta di Francesco Saverio Nitti. Dopo 20/30 giorni di navigazione, lo sguardo di migliaia di persone incrocia quello della Statua della Libertà, che con le braccia lunghe 14 metri, da il benvenuto e accoglie sotto il suo Schutzmantelmadonna (Manto della Misericordia) questa mandria di uomini: give me your tired, your poor,/your hundled masses yearing to/breathe free/the wreched refuse of your teeming/shore/send these, the homeless tempest-los/send to me/I lift my lamp beside the golden door. (venite a me, popoli stanchi, poveri/rifiuti disperati delle vostre spiagge affollate/ mandate a me i senza tetto, sconvolti dalla tempesta/ io innalzo la mia luce accanto alle porte dorate). Epitaffio scritto sotto la grande Statua che i francesi regalarono all’America per la loro Indipendenza. Epitaffio ripreso dai versi di Matteo11, 25-30.

Immigrati a New York
5 pensiero su “Il sogno Americano terza parte”
    1. Da emigrato calabrese, trovo questa serie molto ma molto interessante per fare capire alle generazioni presente e futuro l’importanza ed il dolore dell’emigrazione nella storia. Molti nostri antenati hanno sfidato il nuovo mondo da soli, lasciando la famiglia in Italia, e soltanto piu’ tardi dopo aver raggiunto una certa stabilita’ economica pensavano di ritornare in Italia oppure di far si’ che la famiglia li raggiungesse nel nuovo mondo (CANADA, STATI UNITI, ARGENTINA, BRASILE, URUGUAI, PERU”, COLOMBIA, VENEZUELA, MESSICO o AUSTRALIA.)

  1. Martino: Sono l’ultimo di 12 figli ormai in vita solo 4 fratelli in Australia e una sorella in Francia ad eccezione di due sorelle che sono rimaste in Italia ormai decedute tutti emigrati. Una volta si scappava dalla miseria, ma quello che mi rattrista di piu’ che anche oggi si deve lasciare la Terra di Calabria per cercare un lavoro dignitoso che gli permette di mettere su una famiglia, mi domando perche’ non si trova una soluzione ?

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