Umana rappresentazione di fede e di laico fervore alla luce … di ‘na lampa

Nella nostra umana ed inconscia memoria, esistono “spazi fantastici” sia di sacre nonché di profane rappresentazioni: l’Eden, l’Inferno, la Pietà, gli Stenti, la Giustizia, ecc…, il Presepe è anch’esso una di queste rappresentazioni. Prima di tutto rappresenta le radici a fondamenta di ogni nostra crescita umana. Radici in quanto a cultura, religiosità, espressività e comportamento. Lo sguardo magico induce al Presepe, ed è lo sguardo rapito e pieno di ammirazione nei confronti della storia dell’umanità. Di per sé, la magia della nascita è un tema che, nonostante la scienza, continua ad affascinare i piccoli come i grandi! Ognuno di noi scopre nel Presepe gli archetipi dell’esistenza sia sotto forma religiosa nonché laica. Il proponimento ed il raccoglimento del mistico religioso, nonché la fiduciosa operosità e socialità del fervido laico, sono il Presepe. È insieme espressione di vita religiosa e laica nella forma e nella rappresentazione. L’accostamento a questa forma espressiva da parte di ognuno è rivolta alla scoperta della propria esistenza. Nel paesaggio Presepe si fissano miti e riti che hanno valori identitari che ci accompagnano nell’esperienza di vita. Le forme, i soggetti, le scene, tutto ci porta al pensiero di “come eravamo”: poveri e belli nell’originaria innocenza! Nel Presepe tutto induce ad una serena, operosa e placida percezione universale. Le forme espressive sono tutte colorate di umanità. La bontà, il proponimento e la condivisione sono temi cari a noi peccatori. L’umanità solidale, di fronte al trittico sofferente, ci fa rivivere la colpa primigenia del male. Il Presepe è anche l’espiazione, resa feticcio, di una cultura che per sopravvivere, negando Caino, nega anche sé stessa! Il mondo ha bisogno di me! Io ho, ho avuto ed avrò bisogno del mondo! Il Presepe è anche l’emblema della fiamma di calore nel mondo. Ogni anno si rinnova il rito dell’antica novella. È nato… poi si aggiunge il Redentore! Ad ogni nascita si aggiunge sempre più speranza, confidando in un futuro migliore. L’alba della nascita portatrice! Il Redentore: mistica speranza di religioso fervore; problematica presenza di laico pensare. Al di là del significato che ognuno gli accorda, il Presepe è la sintesi felice del cammino universale dell’uomo tra sacro e profano; si ama per questo. Rappresenta il paesaggio originario dei desideri perduti. Il Poverello di Assisi, non a caso ha trasfigurato il sentimento religioso della nascita nel Presepe. Il rito espressivo del Presepe rafforza e sublima la fede cosi come rafforza e sublima il laico pensare.

…che meraviglia ritornar bambini!

Infilando la testa nella vecchia scatola dei ricordi, da ragazzi il 22 dicembre,  giorno per noi studenti dell’inizio delle vacanze natalizie di ritorno al paese [Acquaro], era il giorno in cui si cominciava a fare Il presepe. In ogni casa era un appuntamento fisso. Vecchi pastori impolverati riprendevano anima e vita. I materiali che si usavano erano i più disparati, vecchie tavole, attrezzi da cucina, pezze riposte in fondo all’ultimo cassetto, spaghi apparentemente inservibili, carte stagnole colorate recuperate chissà dove e così via. Altro che arte del riciclo! Ciononostante venivano fuori delle vere e proprie opere d’arte! Ogni presepe aveva le caratteristiche dell’autore. Ognuno creava il “proprio” presepe a seconda della “propria” impronta, del “proprio” estro e dei “propri” materiali. Ricordo: le arance, i limoni ed i mandarini che con i loro colori addobbavano i presepi, insieme alle drupe di corbezzolo, il pungitopo con le caratteristiche bacche rosse, il bianco vischio ed i rametti di quercia con le palline [galle] grigio-grumose. L’ esecuzione prendeva forma durante “il da farsi”; non esisteva un progetto, ma si obbediva a delle regole non scritte che Mastri Presepisti tramandavano; ricordo in particolare uno di questi: Mastru Pipaluaru!  L’espressione che usava molto durante il lavoro era: L‘aju tuttu ‘nta testa! [Ce l’ho tutto in testa!] Si cominciava dallo sfondo delle montagne. Da ragazzino penso di aver imparato il termine ed il significato di “prospettiva” proprio da queste costruzioni che si ricavavano dal recupero della carta dei sacchi di farina; carta che, dismessa dall’uso di resistente imballaggio per cui era stata adibita, ben fungeva per la realizzazione delle ardite montagne. Veniva ben stropicciata ed impastata di colore a base di grigi-verdi-rossi utilizzando i resti di vecchie scatole di vernice dal fondo cremoso, servite a chissà quale trattamento. Ricordo le cime sempre imbiancate di neve-farina. Prati e colline a base di muschio. Dire muschio [‘i prazzi] è molto riduttivo! Ricordo che c’erano “scuole di pensiero” assai diverse! Veniva raccolto prima ed era diverso per natura e caratteristiche ed accendeva interminabili ed approfondite discussioni. Chi preferiva il muschio di montagna: muschio molto spesso, grasso e coprente, dai verdi cangianti secondo l’intensità e l’esposizione alla luce, misto a grigie striature di aghi di pino; molto idoneo a coprire ampi spazi ed a mimetizzare pastori mancanti di qualche arto che nel corso degli anni s’era staccato ma che non si decideva mai a dismettere. C’era chi preferiva il muschio raccolto dalla corteccia degli alberi di ulivo, soprattutto di quelli esposti a nord e posti in zone umide: muschio poco spesso, compatto nella consistenza e nel colore, quasi ricamato, con ciuffi d’ erba, tipo alberelli sfrangiati con grande effetto decorativo da porre vicino a pastori a mo’ di riparo; muschio da frapporre tra una casetta e l’altra con il suo alberello; muschio su cui far pascolare pecorelle smarrite. Ancora il muschio d’erica tipico della macchia mediterranea, né troppo spesso né troppo basso, di colore omogeneo verde pastello, ideale per i verdi prati su cui stendere greggi ed inframezzare laghetti. Poi muschi bianchi e rossi di sasso da utilizzare come innesto per decorare vecchie case, pareti montuose ecc. La capanna era, in genere, ricavata da lastre di sughero tirate via dal tronco dell’albero di cui se ne celava sempre l’esistenza, onde evitare la concorrenza nella ricerca. I viottoli erano o di sabbia fine, rigorosamente prelevata in apposita località [a’ Cilateja], o da segatura accuratamente passata al setaccio. Anche per questo due scuole a confronto! La sabbia, mista a sassolini, rendeva molto più realistici i viottoli di campagna e permetteva ai pastori una maggiore staticità di posa; la segatura, assai più leggera, permetteva una migliore manipolazione con un effetto viario più “urbano”. Poi i Pastori! Si entrava in un mondo a parte, con considerazioni, valutazioni e storie inimmaginabili. Ogni famiglia aveva i “propri” vecchi pastori arrivati in assegnazione esclusiva da lasciti ereditari di antichissima origine, in particolare la Natività ed i Magi. Diatribe ed inimicizie tra parenti non si contavano! Non era insolito trovare pastori della stessa epoca e fattura in case diverse, tipo: San Giuseppe ed il Bue in una casa e la Madonna, l’Asino ed il Bambinello in un’altra casa. Guai a proporne la ricongiunzione! Scattavano ire funeste ed improperi a più non posso sia da una parte nonché dall’altra.

Noi ragazzini assistevamo estasiati alla realizzazione del Presepe! Sempre pronti ad eseguire qualsiasi compito pur di esserci!  Ricordo l’illuminazione con le “lampe” alimentate ad olio d’oliva, con alla base del “meccanismo incendiario” un piccolissimo tripode galleggiante, retto da rudimentali pezzetti di sughero con al centro una “micciareja” [miccetta] che, inumidita dall’olio, garantiva la fiammella. I presepi ricchi erano illuminati da parecchie “lampe”; nei presepi poveri al Bambinello toccava stare al buio. Di notte, oltre al lume delle “lampe”, il Bambinello stava, a volte, in compagnia di tarli e anche di qualche topolino che, da qualche vecchia scatola, passava nel presepe rendendolo animato. Lo stagno era invece garantito o da un vecchio recipiente di terracotta smaltata, incastrato nella struttura e ben mascherato, ai lati, dal muschio – “l’acqua vera” – o da un pezzo di specchio, a suo tempo rotto, dipinto di blu, con sopra poggiate le paperelle ed i cigni di cartapesta. I ponticelli fatti con dei rametti di legno, garantivano l’attraversamento al gregge ed ai pastori. Ricordo che per edificare un ponte si usava la tecnica di bucare il legno con un ferretto arroventato [‘u spitu], quindi s’inseriva un altro legnetto a spina e così via. Venivano su ponti con arcate e ringhiere ben salde! Ai fondali veniva accordato un interesse d’ importanza primaria. Molto spesso, l’esecuzione preventiva veniva affidata ad un Mastro Pittore che li realizzava con molto studio, pazienza ed attenzione. Ricordo molto bene il momento in cui questi fondali venivano svelati. L’immediata reazione degli astanti era fondamentale per l’Artista Pittore; in un attimo costui si giocava tutta la sua reputazione di Mastro! Ad un prolungato haazzzzz … di generale approvazione, seguivano prodighe spiegazioni delle figure, dei colori, dei paesaggi la cui origine veniva ricondotta ai sacri testi. Invece, a qualche accenno di timida critica scattavano reazioni irriferibili che coinvolgevano inevitabilmente le sette generazioni passate e le sette generazioni future! Anche le donne erano mobilitate; in particolare veniva loro assegnato il compito di rivisitare i costumi dei pastori, se in stoffa, ed allestire il panneggio di copertura con stoffe o quant’altro per mascherare la struttura; ciò al fine di nobilitare esteticamente il tutto. In genere si utilizzavano delle nobili stoffe dismesse, senza quindi mettere a repentaglio il corredo buono. Il tutto doveva essere pronto per la notte del 24 dicembre, appuntamento con La Nascita.  Ricordo tutti noi bambini con una candela accesa che sfilavamo davanti al Presepe cantando “Tu scendi dalle stelle”, dove il primo della fila – di solito il più piccolo -, teneva avvolto, in un fazzoletto di candido lino, Gesù Bambino per riporlo nella mangiatoia dopo il rituale bacio da parte di ognuno. Quante laboriose vicissitudini e quanti laboriosi travagli per la nascita di Gesù Bambino! Giovanni Luzzi

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