di Pino Cinquegrana – Antropologo –

I porti del Meridione luoghi d’attesa verso l’America

Il porto divenne il Landbrȕcke tra la fame e l’abbondanza, tra il rimanere contadino per sempre o il riscatto attraverso nuove opportunità, e tra tante altre cose tra una terra che da poco e l’idea stessa della fuga verso un altrove della speranza, tra l’abbandono di una patria desolante ed una che accoglie e da guadagni che cambiano la vita. L’emigrazione transoceanica crebbe, pertanto, grazie al progresso del trasporto marittimo con velieri e piroscafi a vapore sui quali ci si imbarcava anche clandestini, senza passaporti, per sfuggire le rivendicazioni terriere e alla coscrizione militare (Sebastiano M. Cicciò: 2016). Con l’introduzione della legge sull’emigrazione (1901), il porto di Genova divenne l’imbarco verso il Sud America e quello di Messina e Napoli verso il Nord America. I porti divennero, nel tempo, tempo di attesa e, intorno ad essi si svilupparono osterie e taverne e negozi vari; divennero un processo economico per le città portuali. Per qualche giorno si rimane in attesa di passare il mare da parte di uomini e donne, di intere famiglie, di contadini e artigiani, ma anche di maestri, medici ed infermieri. All’inizio questi luoghi dell’attesa raggiunti attraverso le ferrovie (Pizzo per l’area dell’Angitolano) a loro volta raggiunti con i carri o a dorso di asino, non avevano luoghi di accoglienza a reggere questa “tonnellata umana” come la definì P. Crupi, e si rimaneva in attesa sulle panchine o nelle sale dove avevano passato la visita medica pre-imbarco (qualcuno veniva derubato e finiva al porto la speranza della partenza). Nel 1905, il Governo procederà all’autorizzazione di locande per gli imbarchi nei pressi dei porti: a Napoli se ne contavano 87 con 2400 posti letto, a Messina 18 con 341 posti letto, a Genova 33 con 720 posti letto (Sebastiano M. Ciccio, 2016:10). Non mancarono gli abusivi che offrivano riparo in vecchie casa umide e malsane pur di sfruttare questa fuga verso dove portava la fame. A Palermo, nel 1907, per iniziativa di volontari apre “La casa dell’emigrante sotto la tutela del Commissariato Generale dell’Emigrazione. Nello stesso anno, Messina ebbe il riconoscimento di “porto d’imbarco” e di ospitare “L’Ispettorato dell’Emigrazione”. (Bollettino Emigrazione, vol.8, 1909, pag. 195).

Si comincia a parlare di responsabilità penale per quanti sfruttano ancor prima di partire tanta gente stordita dal bisogno (vedi anche a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi e Emilio Fronzina, Storia dell’Emigrazione Italiana, Donzelli, Roma 2001).

Il Porto di Napoli diventa, nel tempo, il primo luogo d’imbarco per le regioni meridionali. Oltre 70 società di navigazione avevano la propria rappresentazione nella città partenopea (Freda Dolores, 2017). Un interessante quanto minuzioso studio sul porto di Napoli in merito all’emigrazione fu fatto da Francesco Saverio Nitti dal titolo “Il porto di Napoli”.

Il bollettino dell’emigrazione anno 1909
Porto di Genova
Porto Palermo

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Un pensiero su “I porti del Meridione luoghi d’attesa verso l’America”
  1. Complimenti è bellissimo conoscere la Storia dei miei meridionali, anche alcuni dei miei parenti emigrarono in Canada la Famiglia Cristiano e la Famiglia Sposato di Carpanzano provincia di Cosenza, Grazie 🙏🙏🙏😘

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