L’antroponimia è un ramo dell’onomastica che riguarda lo studio degli antroponimi, ossia dei nomi propri attribuiti alle persone. Bisogna considerare che lo stretto intreccio di lingua, cultura e società che ciascun nome, nella sua tradizione e cristallizzazione porta con sé, costituisce un potente stimolo alla ricerca onomastica su base storica. Lo studio dell’antroponimia femminile, aggiunge a questa prospettiva il fascino di un ambito di indagine ancora in parte inesplorato. I fitti elenchi di nomi maschili registrati nei giuramenti e negli atti privati già in epoca antica e medievale non trovano corrispondenza in un’analoga rappresentazione del mondo delle donne. L’articolo, focalizza l’attenzione storiografica proprio sulla figura delle donne italo-greche nell’antichità, attraverso lo studio dell’antroponimia. Le donne occupavano una serie di ruoli sociali differenti, non solo tessitrici, casalinghe o filatrici ma alcune venivano impiegate nelle miniere o nell’edilizia. Attraverso gli elementi storiografici si nota come nei documenti privati, le donne appaiono invece come personaggi passivi, legati alla rete parentale o al marito e si evince una condizione diversa per quelle donne che vivevano nei centri costieri e prendevano parte ai commerci. Questa era una realtà facente parte prevalentemente dell’Italia centro settentrionale, perché per quanto riguardava le donne nell’Italia meridionale, la situazione risultava essere ben diversa.
In effetti attraverso lo studio dell’antroponimia, ci si rende conto che il ruolo femminile variava a secondo del territorio. Si nota infatti che, mentre in Basilicata le attestazioni femminili, così come le pratiche di lavoro ad esse legate, si identificavano attraverso la presenza del marito; in Calabria la donna si identificava da sola, designando così per lei una posizione mediana. Detto ciò, se proviamo a riflettere brevemente sulle possibili cause di scarsa attenzione rispetto al tema delle donne in Italia, ci rendiamo conto che, le importanti ricerche svolte prevalentemente in ambito sociale e riservate alle donne che vissero nelle città italiane, hanno creato un’emorragia interna difficilmente valicabile.

Non solo tra quella sottile divisione tra Alto e Basso Medioevo, ma anche sulla differente cultura che le caratterizzavano. Per capire quest’ultima differenza, ci si può concentrare sullo studio dell’antroponimia, che per quanto possa sembrare banale ci lascia in realtà numerose attestazioni. I nomi delle donne costituiscono, il 7% delle denominazioni registrate sia negli atti di pratica che negli inventari, tanto nella Calabria meridionale quanto nella Basilicata. A differenza dei nomi maschili, nelle fonti, l’uso onomastico femminile risulta debole. Questa frammentazione, che ci perviene prevalentemente nel territorio della Basilicata, dà l’impressione che le nominazioni femminili non siano oggetto di strategia e dichiarano dunque, che l’identificazione della donna nella società era attestata dall’uomo che aveva accanto o dal gruppo familiare; idea rafforzata anche dal fatto che esse non sottoscrivevano mai un atto. Una situazione di questo tipo è sicuramente da confrontare con l’influenza che avevano questi territori con il diritto longobardo, il quale assoggettava le donne ad un uomo e la loro stessa presenza nell’economia e nella società passava sistematicamente attraverso quest’ultimo. La condizione risultava diversa in Calabria meridionale, dove attraverso il Brebìon di Reggio, si nota come le donne si identificavano da sole, senza passare per il nome dell’uomo, a differenza dei territori di Taranto e della Basilicata. Tra questi estremi, gli atti di pratica della Calabria meridionale, disegnano per le donne una posizione mediana, dove un quarto di esse è nominato senza alcun legame di parentela. Il Brebìon sembra dunque riflettere una situazione di indipendenza, pur specificando che si trattava sicuramente di donne di un certo status sociale. La conclusione che si può dare a questa breve analisi è pertanto la diversa influenza sociale legata alle donne. La condizione delle donne italo-greche, che spesso costituiva una minoranza sottomessa se influenzate da un ambiente longobardo, (nonostante la legge bizantina garantisse loro personalità giuridica sui iuris: Dal latino letteralmente tradotta del “proprio diritto”.), non è la stessa per quelle donne nel sud della Calabria che risultavano meno influenzate dal pregiudizio e che dunque riuscivano legalmente ad esistere da sole. Lavinia Prestagiacomo

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